La grande emigrazione ebbe inizio nel 1870, ed è strettamente legata ai processi di trasformazione che ebbero luogo nelle campagne italiane. I fattori scatenanti di questa ondata migratoria sono oggetto di un ampio dibattito storiografico.
In quegli anni ci fu un netto peggioramento delle condizioni di vita della popolazione italiana, che sarebbero state ancor più gravi se la pressione demografica non avesse trovato sfogo nell’emigrazione. Certamente non si possono neppure escludere, tra le motivazioni che spingevano ad emigrare, la volontà di tentare la fortuna, spesso sull’esempio di compaesani
Il fenomeno aumentò ancora tra il 1900 e il 1914, con una media annua di oltre 600.000 unità, con una punta di 873.000 nel 1913. Rilevante, nello stesso periodo, fu il numero dei rientri (150-200.000 all’anno), prevalentemente da Stati Uniti ed Argentina. Il periodo della guerra ridusse al minimo il movimento migratorio, che tuttavia riprese negli anni del dopoguerra su livelli ridotti (circa 200.000 fino al 1930, con una punta nel 1920 di 600.000), salvo poi diminuire su livelli inferiori alle 100.000 unità tra il 1930 e il 1940. Con il fascismo, si assistette ad una drastica riduzione, seguita da una prepotente emersione di quello che fu lo squilibrio interno tra popolazione e capacità produttiva. Nel periodo postbellico si ebbe un certo incremento, assorbendo il 30% degli espatri, ma ben più imponente fu la migrazione intraeuropea, che interessò circa 5.500.000 persone
L’Argentina è la meno americana delle repubbliche sudamericane. Rivendica il suo essere europea da sempre, almeno da quando, in seguito all’indipendenza dalla corona spagnola (1810), gli intellettuali – Alberdi[4] e Sarmiento[5] su tutti – cercarono di definire le categorie identitarie della recentemente formata nazione.
I viaggi della speranza degli emigranti italiani cominciavano da Genova che, insieme a Napoli e Palermo, era il principale porto di partenza. Non sorprende che il flusso avesse come protagonisti gli emigranti liguri, piemontesi e lombardi.
Il terzo censimento, risalente al 1914, fotografa una situazione in cui la nazionalità italiana è sempre la più numerosa, e presenta una “meridionalizzazione” del flusso, con circa il 40% degli arrivi provenienti dalle regioni del Sud.
Oggi, gli italiani residenti in America Latina, titolari di cittadinanza e di un passaporto italiani, sono 1.651.278 al 31 dicembre 2018[13]. Di questi, la gran parte è concentrata in Argentina (842.615 cittadini). Inoltre, su un totale di 4.304 iscrizioni AIRE[14], 1.285 (il 29,8%) di italo-discendenti dell’Argentina hanno ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana. Nella sola Argentina del 2018, nonostante la crisi economica e la svalutazione monetaria, l’Italia ha esportato prodotti per più di un miliardo di euro[15].
Come ogni migrazione, anche quella degli italiani diretti in Argentina è una storia di relazione. La relazione degli emigranti con le comunità di origine – mantenuta con la corrispondenza, ma anche con il mantenimento delle ritualità, come le feste religiose, le celebrazioni familiari, i lutti – e quella con le comunità di arrivo, favorita nel caso dell’Argentina dalla “vicinanza” linguistica, dalla partecipazione alla vita economica e dall’assenza di particolari ostilità da parte della popolazione locale. È anche la storia delle relazioni politiche, economiche e culturali tra gli Stati di arrivo e di partenza.